Progetta un sito come questo con WordPress.com
Comincia

Crossing Giants, la Traversata valtellinese Coca – Brunone

Tra le innumerevoli traversate realizzabili nelle Alpi Orobie, la traversata “rifugio Baroni al Brunone – rifugio Merelli al Coca“, che si snoda ai piedi dei cosiddetti giganti orobici, è in assoluto una tra le più classiche e frequentate di sempre.

L’itinerario culmina alla forcella denominata Ol Simàl (2.712 m.), che risulta anche il punto più alto dell’intero Sentiero delle Orobie, il re delle Alte Vie bergamasche. L’ambiente che si trova transitando a 2700 metri di altezza, quota per niente banale per essere in territorio orobico, è roccioso, arido, spoglio di tutto se non dell’essenziale. Una traccia tra il pietrame oppure tra i nevai che resistono per gran parte del periodo estivo, qualche bollo CAI segnato sulle rocce, nient’altro occorre per immergersi nei magici ambienti alpini bergamaschi, grandiosi e affascinanti nella loro solitudine.

Inoltre, predisponete anima e cuore alla grande fatica che comporta la traversata Coca – Brunone, dato che stiamo parlando di un percorso che presenta più di 2000 metri di dislivello, 2500 se si estende la traversata al rifugio Curò, per una versione più lunga ed altrettanto classica della medesima avventura.

Il rifugio Coca arroccato a quota 1.891 metri è punto d’appoggio per la salita al Pizzo Coca, vetta più alta delle Orobie, oppure per chi transita lungo il Sentiero delle Orobie (archivio Orobie Trail, ed. Versante Sud)

E se provassimo ad estendere questa traversata verso nuovi orizzonti? Quest’estate riprendo tra le mani una traccia abbozzata tempo fa, la riguardo per la centesima volta sulla mappa e mi chiedo: perché non percorrerla veramente?

Dalla parte opposta dei più noti e frequentati versanti bergamaschi giacciono i territori valtellinesi con le loro tipiche vallate glaciali, lunghe e strette. Proprio in questi luoghi i profili delle montagne sono straordinariamente affascinanti e severi in quanto teatro delle pareti nord dei giganti orobici: Pizzo di Coca, Pizzo del Diavolo di Malgina, Pizzo Porola, Cima di Scotes, Pizzo degli Uomini, Pizzo di Rodes, Punta Scais, Pizzo Redorta, Pizzo Brunone sono i primi che mi vengono in mente. Un tour tra i giganti, ecco l’idea, puntando ad estendere la più classica delle traversate orobiche, ovvero la Brunone-Coca.

Ebbene, il collegamento tra questi due rifugi non avverrà nella parte bergamasca, bensì tra i versanti valtellinesi della Val Arigna, della val di Quai (tributiaria dell’Arigna) e della Val Caronno. Con uno spettacolare apice al Passo del Biorco, a cavallo tra la Val Arigna e la Val Caronno, poco lontano dal lago alpino del Reguzzo e dal bivacco Ottolino.  

Materiale da avere con sé:

Ramponcini. La discesa lungo la Vedretta del Lupo (e la salita per la Vedretta di Scais, per la variante descritta in seguito) presenta neve dura e ghiaccio insidioso per tutta l’estate.

Lampada frontale. Molto probabilmente ne avrete bisogno la mattina presto o la sera tardi.

Riserva extra di acqua. Dal rifugio Coca al rifugio Brunone, quindi per tutta la permanenza in Valtellina, avrete una sola fonte d’acqua al rifugio Mambretti. La fontana al bivacco Ottolino, al momento della nostra ispezione (settembre 2020), risulta chiusa. Eventualmente l’acqua del torrente che percorre la Val del Quai risulta una buona fonte. Fate attenzione a non restare senza liquidi.

La traversata richiede le seguenti capacità:

Tecniche base di progressione su ghiacciaio. Assolutamente da non sottovalutare le vedrette del Lupo e dello Scais. Il rischio è quello di ritrovarsi in guai seri in luoghi veramente poco frequentati e lontani diverse ore da qualsiasi punto d’appoggio. Verificare sempre e preventivamente le condizioni delle vedrette tramite i rifugisti del Coca e del Brunone.

Tecniche base di progressione su roccia. La salita al Passo della Scaletta è un altro tratto assolutamente da non sottovalutare, in quanto implica una progressione su roccia facile ma delicata. Considerate che tutto il canale di salita, decisamente verticale, è bagnato in quanto percorso da un piccolo rigolo d’acqua. Se volete evitare questo tratto consiglio la variante per la Vedretta di Scais descritta di seguito. 

Info extra

I sentieri delle Orobie Valtellinesi

Se siete abituati ai sentieri larghi e ben curati della bergamasca, a trovare rifugi accoglienti in testata alle vallate, a chiedere agli escursionisti di passaggio qualche informazione… tenetevi pronti perché sul lato valtellinese non troverete nulla di tutto ciò!

I sentieri sono spesso ridotti a tracce appena visibili, oppure dominati dall’erba alta. I tre passi sono caratterizzati da terreno assai tecnico: sassi, ghiaia, sempre molto ripido. I rifugi Ottolino e Mambretti non sono aperti, in nessun periodo dell’anno. Di escursionisti ne troverete gran pochi. Fortunatamente i bolli (anche se talvolta sbiaditi) sono sempre presenti. Queste sono le Orobie Valtellinesi: belle e selvagge.

Vietato trovarsi in questi luoghi col brutto tempo e/o con scarsa visibilità. Organizzate l’uscita solo se siete sicuri di un meteo clemente.


Canale per il Passo della Scaletta e variante per la Vedretta di Scais

Il canale che conduce al Passo della Scaletta è sicuramente il tratto più pericoloso della giornata. Al momento in cui scrivo questa relazione, la catena risulta disgaggiata proprio nel primo tratto, costringendo ad effettuare qualche passo delicato lungo una placchetta verticale. Tutto il canale è bagnato da un piccolo corso d’acqua e non saranno pochi i punti in cui bisognerebbe avere un appoggio sicuro del piede, un passo falso su roccia potrebbe portare infatti ad una caduta anche grave.

Fatte queste considerazioni, posso solo consigliare di seguire la variante che, al posto di salire al Passo della Scaletta, risale la Vedretta di Scais fino alla sella posta sotto la bocchetta di Scais (2.800 circa). Nonostante la variante comporti del dislivello aggiuntivo, vale la pena seguirla principalmente per due motivi:

– risalire la vedretta risulta più sicuro che risalire il canale descritto in precedenza
– niente sarà così gratificante come ritornare nei territori bergamaschi risalendo la Vedretta di Scais. Avremo l’occasione di osservare molto da vicino il Pizzo Redorta e la Punta Scais, rispettivamente seconda e terza vetta più alta delle Orobie. Lo spettacolo è assicurato.

Il cielo si specchia nel lago alpino del Reguzzo, posto a quota 2500 metri. Appena dietro si scorge il rifugio Ottolino.

Ore 4:00 sveglia, ore 4:30 ritrovo con Alberto, ore 5:30 partenza da Valbondione.

Saliamo tranquilli, abbiamo voglia di chiacchierare, si delinea fin da subito il ritmo calmo e piacevole che ci accompagnerà per tutta la giornata. Il classico sentiero CAI 301 conduce 1000 metri di dislivello più in alto al rifugio Coca, situato a quota 1.891 metri. Salutiamo il rifugista e beviamo un caffè, quindi ci rimettiamo in cammino fino al Lago di Coca, posto all’imbocco dell’ampia conca dei giganti. Sfiliamo sul lato destro del lago, dalle acque incredibilmente azzurre e blu cristalline, mentre non perdiamo d’occhio il Passo di Coca proprio sopra le nostre teste. Nel frattempo, il primo sole illumina il versante est del Pizzo Redorta, solcata dai suoi canali molto frequentati d’inverno.

Dal Passo di Coca si può osservare il Lago di Coca e il ripido ghiaione appena intrapreso. Questo è l’ultimo sguardo che si può dare alle valli bergamasche, prima della calata in Val Arigna in territorio valtellinese – Pic© Alberto Orlandi

Una salita ripida e sassosa ci separa dal Passo di Coca a quota 2.645 metri, porta d’accesso per la Val Argina in territorio valtellinese. Se questa avventura facesse parte di un canto della Divina Commedia, giunti al passo troveremmo impressa la scritta “Lasciate ogni speranza, o voi che entrate”. Da qua in poi, l’ambiente selvaggio delle Orobie Valtellinesi ci riserverà un’avventura senza eguali.

Scendiamo pochi metri sotto il passo e calziamo subito i ramponicini per attraversare la Vedretta del Lupo. Sotto ai nostri piedi troviamo neve dura, talvolta ghiacciata, meglio non fare passi falsi. Piccola nota: noi abbiamo istintivamente tenuto il centro della vedretta durante la discesa, ma alla fine ci siamo trovati il bivacco Corti sopra le nostre teste. Se volete transitare dal bivacco, tenete il più possibile il versante sinistro orografico durante la discesa.

Terminato il pendio ghiacciato togliamo i ramponcini e seguiamo fedelmente i bolli e la traccia per arrivare all’incrocio con la GVO, Gran Via delle Orobie, indicativamente a quota 1.900 metri.

Durante la nostra discesa, è bastato guardarsi intorno per esclamare: che spettacolo le pareti nord dei giganti!

Il Dente di Coca proprio da nord assume l’aspetto di un torrione isolato, il Pizzo del Druet e le Cime dei Cagamei, che dal lato bergamasco non sono mai stati degni della mia attenzione, presentano versanti rocciosi che ricordano molto le valli incantate della Val Masino. Infine, veramente meritevole il colpo d’occhio sulle due vedrette del Lupo e del Marovin, un tempo un unico ghiacciaio e oggi divisi dalla bastionata del Dente di Coca.

Tornando all’incrocio con la GVO, giriamo a sinistra seguendo le indicazioni per il bivacco Ottolino. Pian piano torniamo in salita fino ad affrontare un traverso breve ma scomodo per via dell’erba alta. Il traverso conduce ad una piccola bocchetta senza nome (2.150 circa) che ci permette di calarci nella Val di Quai, tributaria della Val Arigna. Scendiamo velocemente fino a guadare il torrente e quindi tornare in salita verso la testata della valle, dominata dalle moli del Pizzo di Rodes e del Pizzo Biorco.

Il torrente che percorre la val di Quai si è rivelato utile per rifornire le nostre borracce. Sullo sfondo è appena visibile la piccola forcella che ci ha permesso di accedere alla valle – Pic© Alberto Orlandi

Tra le due vette si trova il Passo del Biorco che in breve raggiungeremo, ma prima facciamo tappa alla panchina presso il rifugio bivacco Ottolino, con vista sul lago alpino del Reguzzo. Quale posto migliore per riposarsi e affondare i denti nei nostri panini!

Una serie di facili catene ci permette di salire e scendere dal Passo del Biorco (2.641 metri) e calarci nell’ampia Val Caronno. Il primo tratto di discesa, senza mezzi termini, è da dimenticare: ripido, sassoso ed erboso, dalla traccia difficilmente individuabile, ma fortunatamente breve (20 minuti circa, anche meno se siete veloci). Il sentiero quindi prosegue per prati, con traccia talvolta difficilmente individuabile, giungendo a quota 2.004 metri al rifugio capanna Mambretti, dove possiamo rifornirci di acqua presso la sua fontana.

Proprio dal rifugio abbiamo la visuale più ampia dei giganti che sovrastano la valle: le pareti del Pizzo Brunone, del Pizzo Porola, della Punta Scais e del Pizzo Redorta sono sicuramente tra le più possenti che si possono ammirare.

Inoltre possiamo osservare le due vedrette del Porola e dello Scais, un tempo facente parti di un unico ghiacciaio ed oggi ritiratisi fino ad essere divise dall’enorme bastionata nord-ovest della Punta di Scais (conosciuta anche come Punta Baroni). Ci dirigiamo verso le due vedrette seguendo il sentiero inizialmente in piano e le indicazioni per il Passo della Scaletta.

Alberto impegnato nel canale che conduce al Passo della Scaletta. Sullo sfondo la Val Caronno e il Lago artificiale di Scais.

La vernice dei bolli ci appare recente e quindi senza problemi di orientamento giungiamo in circa un’ora presso il grosso ghiaione alla base del canale del Passo della Scaletta. Qua i bolli terminano ma l’imbocco della ferrata è ben evidente. Eccoci al tratto più difficile della giornata: il ghiaione sale molto ripido (della serie un passo avanti e due indietro) e proprio il canale ci riserverà le insidie maggiori (le condizioni del canale le trovate ad inizio di questa relazione).

Arrivati al Passo della Scaletta (2.530 m.) salutiamo la Val Caronno e scendiamo velocemente al rifugio Brunone (2.295 m.). Una fetta di torta e un buon tè caldo sono d’obbligo dopo tutte le nostre fatiche. Terminiamo la giornata scendendo dal classico sentiero CAI 227 che 1700 metri più in basso arriva a Fiumenero, nel fondovalle seriano, termine della nostra lunga e affascinante traversata tra i giganti delle Orobie.

E ora come torniamo a Valbonidone? Ovviamente abbiamo pensato a tutto: ad aspettarci al parcheggio ci sono le nostre bici “da guerra”, lasciate durante il viaggio di andata. Copriamo gli ultimi 7 km per tornare all’auto con una pedalata molto relax, e visto il buon orario ci concediamo la ciclabile della Val Seriana invece della trafficata statale.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: